Silvia Ferrari Lilienau

Tra le molte possibilità che il vetro offre a chi lo plasmi due sono quelle privilegiate nei lavori di Nives Marcassoli, antitetiche e però convergenti: la lettura in trasparenza, e la sparizione dell’immagine inserita nella pasta vitrea. Per lo più mani, o parti del corpo, echi di presenza umana che galleggiano tra acque simulate, che si increspano, cambiano direzione, si raccolgono facendosi più vischiose. Il colore di volta in volta asseconda l'emersione oppure spinge in profondità.
C’è una componente materica forte, nello spessore che Marcassoli sceglie, a volte – nella forma squadrata – come se reiventasse metope di un teatro postmoderno. Nell’equilibrio del profilo contiene l’esuberanza caramellosa del vetro, che è virtù rischiosa, là dove sfugga alla ponderazione. Il rischio è cioè di eccedere in ornamento, e di convertire in melassa il carattere cristallino del vetro.
Marcassoli tratta piuttosto la composizione in vetro come la pittura su tavola i pittori fiamminghi del Quattrocento, quasi procedendo per velature, lasciando emergere gli strati sottostanti nella brillantezza della superficie.
C’è poi il valore simbolico delle mani, nell’esigenza di far coincidere supporto e contenuto, per una ricerca di schiettezza in cui materiale e frammenti figurativi si sposano. Le mani che affiorano o sembrano allontanarsi parlano delle azioni che compiono, nel loro stringere per affetto o lealtà, nel farsi tramite di relazioni tra simili. Il profilo grafico si immerge nella pienezza del vetro, a sua volta stretto nella geometria secca del perimetro, o comunque trattenuto entro i margini anche irregolari di una bolla variamente espansa. Perché l'idea è semplice, ma il suo peso etico ha complessità ben maggiore, come elaborata è la tecnica messa a punto da Marcassoli, che accosta la colatura alla lavorazione manuale a caldo.
L'esito ha allora consistenza oggettuale, ma anche un'evidenza pittorica, e intende trasmettere un messaggio, sia esso recepito come memento o come sollecitazione di pensiero. Marcassoli lavora dunque in senso materico, iconico e concettuale, per sedimentazioni che crescono e accrescono, a tratti sull'orlo di soluzioni troppo sapide, più spesso prossime a tridimensionalità di echi fossili, che iterandosi in allontanamento progressivo si attenuano, non prima di essersi definitivamente impressi.

Silvia Ferrari Lilienau
Ottobre 2013